La storia dei manifesti politici e dell’Italia

Nelle attuali campagne elettorali non si usano quasi più: fanno capolino, al massimo, in quelle amministrative (comunali soprattutto), ma per le competizioni su scala nazionale sembrano quasi del tutto scomparsi. Stiamo parlando dei manifesti politici, quei grandi poster che hanno accompagnato le elezioni politiche italiane dal dopoguerra in poi rappresentando, con le loro grafiche e i loro linguaggi, i cambiamenti storici e sociali dei diversi decenni, dagli anni 4′ sino ad oggi. Un lungo cammino che la sempre maggiore personalizzazione della politica avviata negli anni ’80 ha modificato profondamente: oggi, passeggiando per le città, se ci si imbatte in un manifesto politico solitamente questo è composto dalla fotografia del candidato (sindaco, consigliere etc…) e poco più. Un mutamento radicale rispetto ai primi manifesti che inondavano le strade nel passato, a partire cioè dal secondo dopoguerra.

A questo argomento il professor Edoardo Novelli ha dedicato un libro molto interessante, I manifesti politici. Storia e immagini dell’Italia repubblicana (Carocci Editore). Un volume che, come si evince dal titolo, racconta con dovizia di particolari la storia di questa particolare forma di comunicazione a partire dalle prime elezioni libere (1946), precedute da un campana elettorale inedita e caratterizzata da un uso della comunicazione visiva a tratti innovativa e a tratti ferma ancora ad alcune forme tipiche del ventennio precedente. Nei cartelloni che chiedevano il voto per i diversi partiti in corsa, infatti, l’avversario politico rimaneva il nemico, spesso dipinto come un invasore pericoloso e nefasto, addirittura dai tratti facilmente riconoscibili (molto discutibile, a tal proposito, il manifesto della Democrazia Cristiana con la caricatura del segretario comunista Palmiro Togliatti, lo stesso usato dalla “Difesa della razza” nel 1939 per identificare “l’infido e avido ebreo”).

I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia repubblicana

L’arrivo degli anni ’50 modifica in parte la comunicazione grafica messa in campo dalle forze politiche dell’epoca: se da un lato, infatti, alcuni temi rimangono fissi e sempre presenti (sia come linguaggio sia come grafica), dall’altra fa il suo ingresso una maggiore consapevolezza dell’importanza di questo tipo di comunicazione. L’immagine fotografica, il disegno evocativo, l’uso dei colori e delle scritte (anche la scelta del carattere ha un ruolo importante) sono elementi che vengono valutati sempre più attentamente e che nel decennio successivo assumeranno un ruolo fondamentale. Negli anni del boom economico e delle prime forme di contestazione, sfociate nel ’68 e nell’autunno caldo e tragico del 1969, il realismo dei vecchi manifesti lascia lo spazio a una forma più astratta e simbolica di comunicazione che segue il rapido evolversi della società. Un mutamento che porta con sé anche un nuovo vocabolario visivo e un nuovo linguaggio cromatico, strumenti che vengono fatti propri dai soggetti politici che si affacciano per la prima volta sullo scenario sociale (movimenti, piccoli gruppi etc…).

La decade successiva, quella degli ’70, è caratterizzata da un vero e proprio “boom creativo”, quello che l’autore definisce “un momento eccezionale nella storia del manifesto politico, sia per il grande utilizzo che ne viene fatto a sostegno di una mobilitazione e uno scontro senza eguali per intensità e durezza nella storia dell’Italia repubblicana, sia per la pluralità dei linguaggi e dei formati utilizzati”. Le nuove istanze sociali che caratterizzano lo scenario politico, abbinate alla durezza e all’asprezza dello scontro (spesso non solo metaforico), si trasformano quindi in un’urgenza comunicativa assolutamente inedita che si palesa nell’uso di nuovi linguaggi grafici (come l’ingresso dei fumetti) e verbali. Un rinnovamento che coinvolge in parte anche i partiti politici classici, ma che solo in parte proseguirà nel decennio successivo.

Gli anni ’80, infatti, sembrano perdere quell’onda creativa che aveva caratterizzato gli anni precedenti a favore di un linguaggio e una scelta grafica che risente sempre più della pubblicità (è del 1979 l’introduzione dello spot elettorale) e della crescente personalizzazione (ad esempio manifesti incentrati sul leader del partito con il suo ritratto fotografico). Elementi di comunicazione all’interno di processi sempre più vicini al marketing (con profilazione dei possibili elettorali, target etc…), i manifesti perdono “gran parte dei loro tratti e della loro specificità, risultando perfetti e impeccabili dal punto di vista tecnico e qualitativo, ma comunicativamente e visivamente più poveri”. Il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica degli anni ’90 influenza ovviamente anche la comunicazione politica che si trova ad adottare un lessico e un vocabolario grafico impoverito e uno stile sempre più vicino a quello marcatamente pubblicitario e televisivo. Sul fronte prettamente sociale, invece, l’affacciarsi di nuove associazioni e soggetti gravitanti nell’ambito dell’ambientalismo, dei diritti umani e dell’animalismo recupera un po’ di quella ironia e di quella provocazione verbale e visiva che aveva caratterizzato gli anni precedente, inserendola in un contesto comunicativo sempre più professionalizzato.

La massiccia e rivoluzionaria introduzione della comunicazione digitale degli anni 2000 ha un effetto notevole sul manifesto politico: sicuramente ne ridimensiona il ruolo e l’efficacia con i manifesti ridotti ai minimi termini e incentrati prevalentemente sull’immagine del candidato, risultato di quella personalizzazione politica avviata già negli anni ’80. Pochi però i tentativi di rinnovare una comunicazione politica che sembra ora ferma e appiattita. I manifesti, nel corso dei decenni, hanno affrontato i cambiamenti storici e sociali diventandone espressione e rappresentazione. Una storia, quella ripercorsa da Novelli, che è la storia dell’Italia: dall’entusiasmo crescente del dopoguerra fino alla sensazione di distacco e abbandono degli ultimi anni, passando per la fase più creativa e innovativa degli anni ’70.